E-commerce in India: restrizioni agli investimenti esteri, quadro giuridico e influenze politiche

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India e-commerceSecondo uno studio condotto da PricewaterhouseCoopers e dalla Federazione delle Camere di Commercio e Industria indiane, l’e-commerce in India potrebbe registrare una crescita annua del 35 per cento e raggiungere USD 100 miliardi di vendite annuali nei prossimi cinque anni. Nel 2016 si prevede un incremento degli acquisti online per individuo pari al 72 per cento. Inoltre, il numero di consumatori che acquistano in rete ha subito una crescita superiore al 60 per cento nel corso degli ultimi anni.

Le opportunità di sviluppo dell’e-commerce in India sono certamente notevoli. La giovane popolazione, l’innalzamento degli standard di vita, la maggiore diffusione di internet e il miglioramento delle infrastrutture per il trasporto merci sono fattori che rendono l’e-commerce un settore particolarmente attraente per investitori stranieri. Nonostante ciò, è opportuno valutare attentamente le notevoli restrizioni agli investimenti esteri in questo settore, la mancanza di chiarezza e trasparenza nella legislazione in materia e il contesto politico indiano.

Restrizioni agli investimenti esteri nel settore dell’e-commerce

La legislazione indiana che disciplina i nuovi settori di mercato ha un carattere intrinsecamente conservatore, dal momento che il legislatore intende adattare norme precedenti a nuove tipologie di business. L’e-commerce ne costituisce un chiaro esempio. Il governo indiano sta infatti cercando di adattare all’e-commerce la complessa normativa che disciplina gli investimenti diretti esteri nel settore del retail. Tale normativa suddivide le attività di retail in quattro categorie, in parte sovrapposte le une alle altre: single-brand retail e multi-brand-retail, business-to- business e business-to-consumer.

  • Single-brand retail si riferisce alla vendita di prodotti sotto un unico brand, anche a livello internazionale. Benché realizzati dalla stessa azienda, prodotti multi-brand non sono permessi in questo caso. Nel single-brand retail sono consentiti investimenti diretti esteri pari al 100 per cento, sebbene tale percentuale si abbassi al 49 per cento nel caso l’investimento avvenga attraverso la automatic route (ossia senza previa approvazione da parte del governo). Qualora l’investimento estero superi il 49 per cento, è necessaria la previa approvazione governativa.
  • Multi-brand retail si riferisce alla vendita di prodotti con brand differenti da parte di una stessa società. In questa tipologia di retail sono consentiti investimenti diretti esteri pari al 51 per cento, sebbene sia richiesta l’approvazione da parte del governo.

In base alla legislazione indiana, le vendite single-brand e multi-brand possono essere effettuate secondo i modelli business-to-business e business-to-consumer, tuttavia nel settore dell’e-commerce permangono diverse restrizioni, come si evince da quanto riportato qui di seguito.

  • Business-to-business (B2B): alle società che operano online nel single-brand e multi-brand retail secondo il modello business-to-business sono consentiti investimenti diretti esteri pari al 100 per cento attraverso la automatic route;
  • Business-to-consumer (B2C): alle società che operano online nel single-brand e multi-brand retail secondo il modello business-to-consumer non sono consentiti investimenti diretti esteri.

In sintesi, gli investimenti diretti esteri non sono consentiti nell’e-commerce B2C. Tuttavia, in base alle Guidelines for Foreign Direct Investment on E-commerce, rilasciate dal Ministero del Commercio e dell’Industria indiano il 29 marzo 2016 e con efficacia immediata, consentono investimenti diretti esteri nell’e-commerce B2C nelle seguenti fattispecie:

  1. un produttore può vendere le proprie merci prodotte in India attraverso l’e-commerce;
  2. una società che effettua vendite single-brand in negozi “fisici” può vendere anche online;
  3. un produttore indiano può vendere online i propri prodotti single-brand. L’azienda produttrice indiana risulterà essere la società partecipata, proprietaria del brand Il valore dei prodotti di tale società dovrà essere ripartito nel seguente modo: il 70 per cento sarà prodotto in India dalla società stessa e al massimo il 30 per cento potrà essere acquistato da produttori indiani.
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Marketplace model e quadro giuridico incerto

Le società a capitale straniero nel settore dell’e-commerce, oltre ad operare secondo il modello B2B, possono creare piattaforme online per facilitare la compravendita tra venditori e consumatori finali. Tale tipologia di attività viene definita come “marketplace model”.

Società quali Amazon e Flipkart, che operano in qualità di marketplace (ossia piattaforme online) e non come venditori diretti, spesso sono proprietarie di grandi magazzini adibiti alla custodia dei prodotti dei venditori. Tali merci verranno custodite fino al momento della vendita e conseguente spedizione al consumatore finale. Nonostante le società operanti in qualità di marketplace neghino il trasferimento di proprietà dal venditore alla piattaforma, il governo ha messo in discussione questo aspetto, chiedendosi se avvenga o meno tale passaggio di proprietà nel momento in cui le merci entrano nei magazzini delle società operanti come marketplace (ad esempio Amazon). Infatti, assumendo che la piattaforma acquisisca la proprietà delle merci, essa si troverebbe ad effettuare una vendita B2C, che, come si è visto in precedenza, non sarebbe giuridicamente consentita a società a capitale estero. Alcuni esperti, sulla base del fatto che siano le piattaforme stesse (e non i singoli venditori) a pubblicizzare i prodotti, hanno concluso che le piattaforme operanti secondo il marketplace model siano in realtà venditori diretti. Altri hanno messo in discussione la questione degli sconti sui prodotti. Infatti, qualora tali sconti siano incentivati dalla piattaforma (e non offerti dai singoli venditori), si dovrebbe dedurne che la piattaforma sia anche ed effettivamente titolare dei prodotti.

La mancanza di chiarezza e trasparenza su cosa significhi single-brand retail e multi-brand retail nel settore dell’e-commerce e sulla disciplina giuridica che riguarda le vendite retail/wholesale/marketplace rendono l’e-commerce un settore piuttosto insidioso per gli investitori esteri. Ai sensi del Foreign Exchange Management Act, la sanzione in caso di violazione della normativa sugli investimenti diretti esteri può essere pari a tre volte l’ammontare derivante dalla violazione stessa. Una sanzione così consistente potrebbe facilmente condurre una società al fallimento.

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Contesto politico

Negli ultimi anni, associazioni di commercianti che vendono offline hanno intentato diverse cause contro società operanti nell’e-commerce, accusandole di violare le norme relative agli investimenti diretti esteri. L’obiettivo di tali associazioni è quello di minare la concorrenza esercitata dalle piattaforme straniere create tramite il suddetto marketplace model. Inoltre, il rischio che multi-brand retailer operanti online possano sostituirsi ai piccoli negozi a conduzione famigliare, i quali costituiscono la principale fonte di reddito per molte famiglie indiane, è una questione politica piuttosto sensibile. Oltre a ciò, l’attuale governo indiano, guidato dal primo ministro Modi, teme che, aprendo il multi-brand retail online agli investimenti diretti esteri, si corra il rischio di “inondare” il mercato indiano di prodotti stranieri, così vanificando la campagna Make in India, lanciata dallo stesso Modi.

Osservazioni

Nonostante gli investimenti esteri nell’e-commerce indiano si presentino come un’occasione attraente per molte imprese straniere, le opportunità reali rimangono al momento limitate e piuttosto insidiose. Tale situazione sarà soggetta a cambiamento nel momento in cui il governo indiano renda più trasparente la legislazione relativa all’e-commerce e apra il settore anche alle vendite business-to-consumer.


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